Sostenibilità, una scelta consapevole al di là delle mode
di Antonio Angioni

“Grande è la confusione sotto il cielo” affermava Mao Zedong ma, considerando l’attuale contesto geopolitico, non si può giungere alla sua stessa paradossale conclusione ossia che “la situazione sia eccellente”. Molteplici sono le sfide e le minacce che le imprese si trovano oggi ad affrontare, costringendo gli imprenditori ad un esercizio quasi quotidiano di ripensamento della propria mission e della propria strategia. In questa situazione di turbolenza, acuita dalle tensioni create dai dazi, riecheggiano le parole di Peter Drucker, secondo il quale la turbolenza per sua stessa natura non risponde a criteri di razionalità, non è regolare, non è prevedibile ma occorre ricordare che “le cause possono essere analizzate, previste, gestite”.
Nel corso di questi confronti e di queste analisi nelle quali affianchiamo gli imprenditori, emergono spesso dubbi e ripensamenti sul tema della sostenibilità, alimentati anche da una forma di riflusso proveniente da oltre Atlantico. Sarebbe riduttivo però far coincidere questo trend con la presidenza Trump, che in realtà ha accelerato, in forma sguaiata e iconoclastica, un processo in corso già da diverso tempo contro gli eccessi e gli estremismi della così detta woke culture.
Già nel corso del 2023, infatti, diverse aziende avevano iniziato un’opera di opportunistico riposizionamento nel tentativo di recuperare quote di mercato sino ad arrivare alle clamorose marce indietro di alcuni grossi istituti di credito (Wells Fargo, Citibank of America, Morgan Stanley) o fondi di investimento (BlackRock), che hanno lasciato la coalizione globale sul clima. Ma occorre ricordare per completezza come molti di questi dubbi e ripensamenti siano stati alimentati anche da una serie di scelte della precedente legislazione dell’Ue per alcuni settori industriali (settore energetico e automotive) ispirate da una logica miope, intrisa di ideologia, e decisamente carente da un punto di vista strategico, come messo in evidenza dal rapporto Draghi e dalla prolusione che lo stesso ha fatto recentemente di fronte al nuovo Parlamento europeo.
Non c’è da stupirsi se, in contesto come quello delineato, molti imprenditori si chiedano se abbia ancora senso investire risorse sui temi riferibili alla sostenibilità, se tematiche come quelle dell’Esg non abbiano fatto il loro tempo e se non convenga riposizionarsi. Quando siamo coinvolti in questi confronti noi proponiamo di seguire un approccio diverso, apparentemente scolastico, suggerendo di partire dalla categoria stessa di sostenibilità.
Sostenibilità proviene dal verbo latino sustinere, che significava reggere, sostenere, mantenere, e, prendendo le mosse da questi verbi, riteniamo sia il caso di avviare una revisione della strategia, della sostenibilità del business, anziché disperdere energie nell’analisi del copioso contesto normativo europeo e internazionale (cosa è permesso e cosa no, a quali condizioni, in quali territori).
Riteniamo più utile promuovere una riflessione sul se, sul come proseguire il business, considerando le interconnessioni con gli stili di vita dei consumatori, la disponibilità delle risorse, gli impatti ambientali, le alternative possibili attraverso la ricerca e l’innovazione. Una sorta di what if analysis che permette di rimettere in discussione non tanto o non solo l’efficienza operativa (la produttività, la qualità, la velocità di reazione), ma la strategia adottata e conseguentemente i seguenti aspetti: il business adottato, il posizionamento nel mercato, il modello seguito, l’organizzazione, la supply chain, i competitor, le barriere e così via.
Seguendo questo itinerario si prende coscienza di come sia importante differenziarsi dai competitor realizzando prodotti nuovi, o anche simili, ma con modalità diverse. Così come sia essenziale saper cogliere i fabbisogni reali dei clienti e favorire la disponibilità di prodotti e di servizi che colgano le aspirazioni e le richieste dei clienti stessi.
Per quanto possa sembrare fuori luogo in questi giorni di clamore mediatico, di sconvolgimenti di scenari, di prevalenza di tesi negazioniste e cospirazioniste, la ricerca di uno sviluppo sostenibile è una tendenza irreversibile. Questa irreversibilità nasce da una presa di coscienza progressiva dei problemi derivanti dal contrasto che divide la società fra ricchi e poveri, dal divario fra mondi sviluppati e quelli in via di sviluppo, dalla ricerca di nuovi modelli di consumo, dalla riduzione delle risorse naturali e dagli stessi sconvolgimenti climatici.
Ecco che per effetto di questa riflessione diventa logico creare valore nel lungo periodo coniugando gli obiettivi di sviluppo e di crescita attraverso il contemperamento di scopi di natura ambientale, sociale e di governance. Esistono già casi precedenti di successo di chi ha percorso questo itinerario, si pensi per esempio alla Lego o ad H&M. La Lego ha iniziato a produrre mattoncini in plastica vegetale, ponendosi l’obiettivo entro il 2030 di trasformare l’intera filiera produttiva utilizzando solo fonti green (come canna da zucchero e legno).
H&M ha lanciato nel 2015 con il programma H&M Conscious, una grande raccolta di abiti usati raccogliendo 12mila tonnellate di indumenti usati, offrendo poi 1,3 milioni di capi realizzati con materiale riciclato con la Collezione Conscious exclusive.
Due esempi di aziende che hanno saputo cogliere l’orientamento dei clienti e, attraverso l’innovazione, consolidare risultati positivi. Ecco che al termine di questo itinerario di riflessione e di confronto sulla strategia, la decisione di confermare o, in alcuni casi, intraprendere l’impegno nella sostenibilità comporta non solo di esplorare nuove soluzioni e di promuovere l’innovazione di prodotti e di processi, ma anche di sviluppare all’interno dell’azienda competenze in materia di sostenibilità.
Utili a questo proposito possono rivelarsi le indicazioni contenute nel GreenComp elaborato dalla Commissione europea, che fornisce un quadro esaustivo su come intervenire per sviluppare una cultura di supporto al business dell’azienda impegnata nella sostenibilità.
Ponendosi in questa prospettiva, anche gli stessi assessment – percepiti spesso come una pesante attività burocratica – costituiscono l’occasione non solo per valutare gli impatti ambientali, sociali ed economici, ma anche per promuovere trasparenza e responsabilità. Gli Esg diventano così utili Kpi per definire e misurare gli obiettivi.
I risultati sinora conseguiti con le aziende clienti ci confermano come seguendo questa metodologia si faciliti un cambio di paradigma e si depurino le categorie dell’ambiente (E), dei temi della socialità (diversità e inclusione), della governance (G) da quegli estremismi della woke culture e di un certo modo strumentale e opportunistico di fare il business. Come tutte le crisi, anche questa finirà per selezionare chi si è impegnato realmente, creando valore sostenibile, e chi ha opportunisticamente approfittato di certi trend, magari per fare del semplice green washing secondo il principio per cui comunicarlo bene è più facile che essere sostenibili per davvero.
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22 aprile 2022 – L’imprenditore