Gestire un’impresa è più complicato di una volta
di Antonio Angioni

Non c’entrano soltanto le legislazioni, nazionali e internazionali, sempre più complesse, ma anche tutti quegli aspetti che riguardano le relazioni fra gli Stati, inclusi i conflitti militari. Con la differenza che rispetto al passato il livello di interdipendenza dei processi economici e produttivi è diventato irreversibile. Qualche riflessione e un suggerimento per navigare in queste acque incerte
Considerando il contesto di questi primi mesi del 2025, non può certo considerarsi un’iperbole affermare che l’incertezza – anche se forse sarebbe più appropriato parlare di turbolenza – sia diventata il new normal, ovvero la dimensione nella quale le aziende e le organizzazioni, ma non solo, si trovano a dover operare quotidianamente. Può essere utile a questo proposito riprendere una famosa frase dell’economista austriaco, naturalizzato statunitense, Peter Drucker, secondo il quale “la turbolenza per sua stessa natura non risponde a criteri di razionalità, non è regolare, non è prevedibile ma occorre ricordare che le cause possono essere previste, analizzate, gestite”.
Seguendo questa impostazione possiamo sviluppare alcune considerazioni. La guerra dei dazi non può essere considerata un fulmine a ciel sereno, dal momento che già nel corso della campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti l’allora candidato Donald Trump non aveva fatto assolutamente mistero delle sue intenzioni. Già agli inizi dell’autunno dell’anno passato alcuni centri di ricerca e alcuni think tank con i quali siamo in contatto come società, avevano richiamato l’attenzione sulla necessità di rivedere le previsioni e di ripensare le strategie.
Sorprendente è stata, invece, la velocità con la quale agli annunci, una volta eletto, Trump abbia fatto seguire i decreti, determinando nel mercato una tempesta che è ancora in corso e di cui non si intravedono gli esiti sui quali molti analisti (o presunti tali) si affannano con le congetture più disparate. Ci sarà sicuramente un riequilibrio dei rapporti fra le economie e un assestamento ma non certo un ritorno negli Stati Uniti di attività produttive dislocate da tempo in altre realtà, almeno non nelle dimensioni auspicate da Trump, se non altro perché l’attuale contesto dell’economia mondiale è il frutto di un processo di globalizzazione che ha visto un’accelerazione significativa in questo primo quarto di secolo.
È vero che in questi ultimi cinque anni abbiamo assistito a fenomeni di reshoring (da cui l’Italia è stata purtroppo solo marginalmente investita) e di una maggiore regionalizzazione, ma il livello di interdipendenza è diventato irreversibile.
Si prenda come esempio il settore automotive. Secondo una recente indagine, se si esaminano i componenti di ogni vettura ibrida commercializzata sul mercato degli Stati Uniti, si scopre che il cambio è di fabbricazione giapponese, alcune componenti sono prodotte in Usa o in Canada mentre altre in Messico; il motore viene assemblato negli Usa e il veicolo viene completamente rifinito in Messico.
Per certi versi questo esempio può considerarsi una versione più aggiornata e sofisticata della famosa riflessione fatta dall’economista statunitense Milton Friedman sulla matita: un oggetto molto semplice la cui produzione richiede un’incredibile complessità. Il legno viene da alberi che crescono in foreste gestite da coltivatori e tagliatori di legno in varie regioni del mondo. La grafite è estratta da miniere in località come Sri Lanka oppure Canada. La gomma per l’estremità della matita proviene da alberi di gomma coltivati in alcune regioni dell’Asia. La metallica anella che tiene la gomma sulla matita è prodotta in fabbriche specializzate in India. Persone di diverse regioni e con competenze differenti si occupano di trasporto, produzione e distribuzione di questi componenti. Ma, riprendendo il suggerimento di Drucker, questi dettagli se sono utili per le analisi, non sono sufficienti per affrontare un vero dilemma che alimenta oggi l’inquietudine degli imprenditori che si stanno domandando quale strategia adottare.
È bene ricordare che non tutti i settori stanno subendo lo stesso impatto e le considerazioni che seguono sono il frutto dei confronti che abbiamo con alcune aziende clienti maggiormente esposte. Prima di entrare nel merito però vorremmo ricordare come non siamo psicologicamente impreparati per gestire questa fase, dal momento che nel periodo pandemico del Covid-19 abbiamo elaborato attitudini ed adottato comportamenti che hanno permesso di superare una fase completamente inusitata; attitudini e comportamenti che sono sicuramente utili anche nella fase attuale.
Oggi più di ieri non possono essere trascurati, in primis dalle aziende che operano a livello internazionale, i fattori geopolitici. Facciamo riferimento sia agli aspetti di mercato ed economici, che a quelli relativi la sicurezza.
Rientrano nel primo gruppo gli accordi commerciali, i controlli relativi l’export e l’import, le specifiche legislazioni (ambiente, energia, lavoro), le tariffe e le norme doganali, le opportunità fiscali.
Rientrano nel secondo gruppo le norme relative gli investimenti esteri, le sanzioni e gli embarghi, le organizzazioni di cooperazione, le norme relative la protezione della tecnologia e la cybersecurity, senza dimenticare le aree di conflitti militari.
La conoscenza di questi dati permette di ripensare la strategia per adattarla al contesto, per verificare la validità delle soluzioni adottate nel tempo, per valutare quali soluzioni mettere in essere ed in quali tempi per continuare a generare valore. Diverse sono le scelte finali che hanno comportato e/o stanno comportando in alcuni casi un’accelerazione commerciale con l’acquisizione di nuovi mercati e nuovi clienti o una ridefinizione del portafoglio oppure ancora una ottimizzazione delle strutture produttive, una semplificazione della supply chain, una revisione dei fornitori.
Per deontologia professionale non possiamo portare esempi, anche perché ci stiamo riferendo a processi in corso. Un aspetto, o meglio un effetto, di questa particolare fase storica ed economica che stiamo vivendo è un orientamento crescente ad articolare e rendere flessibile la strategia.
Nelle piccole e medie imprese da noi seguite, sempre più spesso si stanno elaborando piani relativi ad un mese, al trimestre/anno, a due o tre anni, con la possibilità di un’immediata revisione e adattamento in funzione dell’evoluzione dei fattori geopolitici sopramenzionati. Non è stato casuale il riferimento all’esperienza realizzata durante la fase pandemica del Covid-19, perché proprio in quel periodo abbiamo sperimentato questa “agilità strategica”, che paradossalmente diventa più complessa nelle realtà aziendali di grandi dimensioni.
Non è un caso che stiamo intercettando richieste per sviluppare nelle aziende una sorta di strategic execution proprio per ridurre i tempi di una messa a terra della strategia, che è di gran lunga più articolata e flessibile. Ma proprio ricordando l’esperienza maturata nel periodo pandemico, non possiamo non sottolineare l’importanza della comunicazione all’interno dell’azienda. Condividere l’inquietudine con i collaboratori non impatta negativamente sulla leadership, ma aumenta il coinvolgimento delle persone, accentua la dimensione del team, influisce sulla motivazione, favorisce la creatività e la proposizione di soluzioni nuove, quello che in una sola parola si definisce in inglese come il sensemaking.
Ci sia concessa un’ultima considerazione derivante dall’esperienza diretta che abbiamo fatto di altre crisi nel passato. In contesti così fortemente perturbati le aziende sviluppano reazioni diverse:
- ci sono quelle che si fermano;
- ci sono quelle che rallentano;
- ci sono quelle che paradossalmente aumentano la velocità.
Le prime sono destinate ad essere marginalizzate, le seconde faticano molto a restare sul mercato e a recuperare quote, le ultime sono le aziende di successo, le aziende lepri campioni di velocità, di adattabilità e di resilienza.
La conferma che evitare rischi è la strategia più rischiosa in assoluto.
Puoi leggere l’articolo su “L’imprenditore”.
30 maggio 2025 – L’imprenditore