I nuovi paradigmi: identità, agilità, scalabilità

di Antonio Angioni

Nell’epoca del cambiamento continuo le aziende hanno bisogno di fare chiarezza su obiettivi, processi e strategie. Grande importanza riveste l’organizzazione del lavoro che, dopo l’esperienza della pandemia, approda verso modelli ibridi che premiano la cultura della valutazione dei risultati. Sullo sfondo resta sempre valida la massima di Philip Kotler: “L’unico vantaggio competitivo sostenibile è la capacità di apprendere e di imparare più rapidamente degli altri”

 

Parliamo di: #Management #PMI #Remote working

 

La complessità e il livello di turbolenza che ormai da tempo stiamo conoscendo ci autorizzano a decretare la fine dei vari modelli e delle categorie che eravamo abituati ad utilizzare. L’opera di Richard Bookstaber, The end of theory, accolta a suo tempo come una provocazione, si è rivelata una profetica lettura del contesto attuale caratterizzata da una radicale incertezza.

Non è un caso se i nostri corrispondenti statunitensi, sempre molto abili non solo nel cogliere i trend ma anche nel codificarli, hanno cominciato per esempio a desistere dall’utilizzare espressioni come “il ritorno al new normal”, metafora dominante nella fase post pandemica. Sulla base sia delle esperienze realizzate sia di quelle in corso con le aziende e le organizzazioni clienti, possiamo tranquillamente affermare, senza temere di essere smentiti, che oggi stiamo vivendo il passaggio da un mondo caratterizzato sinora dall’efficienza ad un mondo che sarà sempre più caratterizzato dal cambiamento continuo. Passaggio questo che sta avendo un impatto, di cui non si conoscono ancora tutte le implicazioni. Intendiamo soffermarci in particolare su quei driver che a nostro avviso sembrano essere essenziali per il business, in merito ai quali abbiamo realizzato o stiamo realizzando programmi specifici.

Da più parti ci viene richiesto per esempio di intervenire nel processo di ridefinizione dell’identità, di quello che in inglese viene definito il purpose. Diverse sono le motivazioni alla base di queste richieste: l’esigenza di aumentare la fidelizzazione dei clienti per i prodotti e i servizi offerti, l’engagement dei collaboratori, la revisione della governance spesso anche nell’ottica della certificazione ESG e la revisione della strategia di business.

Prendendo come spunto l’intervento realizzato di recente in un’azienda manifatturiera del Nordest, si è avvertita la necessità di fare chiarezza sulle componenti dell’identità aziendale. Il focus dell’intervento è stato posto sulla funzionalità dei prodotti aziendali (per cosa servono), sulle intenzioni perseguite nel business (come viene gestito), sulle implicazioni sociali (environment, stakeholders, shareholders).

Non si è trattato di un intervento per chiarire semplicemente la terminologia ma per costruire una proposizione chiara, soprattutto condivisa, frutto non solo della direzione marketing ma della composizione di diversi contributi raccolti da tutte le funzioni. Nella seconda fase è stata rivista la strategia aziendale, identificando i gap e le incongruenze, ridisegnando in parte anche l’organizzazione per renderla più snella e coerente. Nella terza fase sono stati coinvolti, con formule diverse, tutti i collaboratori per facilitare un effetto top-down/bottom-up per consolidare operativamente le decisioni e per sviluppare conseguentemente l’engagement.

Passando ad un altro driver, la lenta e progressiva uscita dalla pandemia ha fatto emergere l’esigenza di rivedere l’organizzazione del lavoro, di come gestire il ritorno di risorse da una soluzione di lavoro in remoto al lavoro in presenza. La soluzione adottata dal remote working (non aderendo per quanto ci riguarda alla moda di utilizzare l’espressione smart working, visto che nessuno ha deciso quando, come e dove lavorare, requisiti indispensabili per utilizzare correttamente questa espressione) è stata una soluzione di emergenza che ha permesso ad aziende e organizzazioni di reagire ad un evento drammatico, imprevedibile, globale.

Fra le tante difficoltà emerse nel dopo pandemia è emersa l’esigenza di capire se e come gestire il ritorno alla normalità. Non è nostra intenzione entrare nel merito del copioso dibattito relativo al tema, ma limitarci ad offrire quanto realizzato per un’organizzazione del settore dei servizi dell’Italia centrale.

Nel caso di specie, attraverso una puntuale rilevazione fatta attraverso focus group, mentre è stata valutata positivamente la soluzione del remote working per la produttività, la riduzione degli spostamenti, la possibilità di poter sopperire ad esigenze familiari, dall’altra sono stati registrati casi di burnout, soprattutto fra le donne, la perdita della dimensione temporale, la riduzione della relazionalità e della creatività, la complessità di gestire i processi. In particolare, a livello dei manager è stata lamentata la difficoltà di gestire le persone a distanza, di fornire adeguati feedback, di confrontarsi sullo stato di avanzamento dei progetti nel quale fossero coinvolti più collaboratori, di animare le riunioni.

A parte le soluzioni suggerite per gestire il graduale rientro dei collaboratori mantenendo forme di flessibilità (soluzione apprezzata soprattutto perché frutto di un processo di condivisione opportunamente organizzato e comunicato), abbiamo fatto un assesment accurato in merito alle istanze emerse dai responsabili. È stato quindi costruito un itinerario di rivisitazione del modello di gestione delle risorse coniugando situazioni in presenza con situazioni in remoto con l’obiettivo di supportare i responsabili nel colmare i gap lamentati. Si è dato vita ad una vera e propria metodologia dell’Hybrid model replicabile nelle aziende come nelle organizzazioni che dovranno affrontare il passaggio dal fixed work al flex work al flow work e disporre di leadership team capaci di affrontare l’evoluzione imposta dalla tecnologia e di passare da una cultura del controllo ad una cultura della valutazione dei risultati.

Siamo stati coinvolti anche laddove l’azienda si è trovata di fronte alla necessità di decidere se e come affrontare una crescita esponenziale che rischiava di mettere in crisi non tanto la strategia quanto la tenuta dell’organizzazione. Ci riferiamo al caso di un’azienda del Nord, impegnata nel mercato di prodotti industriali, dove l’imprenditore lamentava di aver sempre trovato difficoltà nella messa a terra della strategia a tal punto dal dubitare se affrontare o meno la sfida di una crescita dimensionale. Tema quanto mai rilevante visto che in base all’esperienza maturata l’elemento discriminante nel successo delle imprese è proprio il livello e la velocità di realizzazione della strategia, la strategy execution.

È stato impostato un assesment organizzativo che ha dato vita poi ad un itinerario che ha coinvolto l’imprenditore e i suoi first direct reports focalizzato nella rivisitazione di quelli che sono i quattro elementi costitutivi dell’execution, le 4A della strategy execution, i driver per la messa a terra della strategia ossia l’Allineamento, l’Abilità, l’Architettura, l’Agilità. Per ogni dimensione è stata attivata un’analisi che ha impegnato i partecipanti ad identificare i gap, a definire una check list e un piano di azione. Al termine del processo sulla base dei risultati è stato creato una sorta di Execution Model da rispettare per gestire le priorità, per adeguare il piano, per controllare la sequenza degli interventi, per assicurare le risorse e soprattutto per rispettare la disciplina.

Esperienze, quelle descritte, che evidenziano come da più parti stia crescendo la consapevolezza di doversi attrezzare per un futuro incerto e pieno di incognite per il quale occorre attrezzarsi per reagire, perché come sostiene Philip Kotler: “L’unico vantaggio competitivo sostenibile è la capacità di apprendere e di imparare più rapidamente degli altri”.

30 novembre 2022 – L’imprenditore