Diversity, Equity and Inclusion: una scelta gestionale non più prorogabile
“La trasparenza di questi interventi garantisce la risposta e l’adesione convinta delle persone e diventa anche una leva di retention”
Nel contesto post-pandemico si delineano nuovi fabbisogni, nuove
esigenze che confermano come
le persone stiano ponendo, forse
anche per un processo di maturazione sviluppatosi nel corso dei lockdown, richieste che non possono essere più eluse. Non ci
riferiamo solo al trend You Only live Once (YOLO),
che spiega il numero crescente di dimissioni e di
cambio lavoro (fattore di per sé inusitato nel mercato del lavoro italiano), ma anche alla richiesta
di contesti maggiormente inclusivi. Le esperienze
che stiamo realizzando in questi mesi ci portano ad affermare che vi sia in corso una sorta di
Pandora box effect. Laddove, per esempio, stiamo
operando per costruire e sviluppare una cultura
di armonica gestione delle risorse sia in remoto
che in presenza (introducendo l'hybrid model) registriamo la richiesta da parte delle persone di un
maggior coinvolgimento, una maggiore attenzione
verso i propri bisogni, una richiesta non solo di
autonomia ma anche di positiva interrelazione.
Come abbiamo avuto modo di appurare nel confronto con i nostri tradizionali interlocutori di
oltre Atlantico, non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano, anche se in Italia la tendenza
assume contorni particolari forse a causa di ritardi
culturali accumulati nel tempo. Su un punto ci
siamo trovati d'accordo ossia sulla necessità di
affrontare con decisone e tempestività questa sfida
nella consapevolezza che lo sviluppo impetuoso e
veloce delle tecnologie, nei prossimi anni, accentuerà i problemi, soprattutto considerando la crescente
dimensione virtuale di certe applicazioni (come
il metaverso) ed il rischio di spersonalizzazioni.
COME GESTIRE DUNQUE QUESTA
RICHIESTA DI UNA MAGGIORE INCLUSIONE, CONFERMATA ANCHE
DA NUMEROSE AUTOREVOLI SURVEY? A nostro avviso, proprio considerando la
molteplicità e le peculiarità delle aziende e delle
organizzazioni, è importante prendere coscienza
in ogni realtà di quali siano le barriere che impediscono o rendono problematica l'inclusività, in
altri termini si tratta di conoscere e successivamente di prendere le mosse dallo starting point.
Questa analisi rappresenta la fase iniziale di un
percorso virtuoso che permette di acquisire consapevolezza, comprendere le potenzialità e le aree
di miglioramento, coinvolgere le risorse in una
gestione strategica e non episodica (!), costruire e
sviluppare, o consolidare a seconda dei casi, una
nuova cultura organizzativa.
TRE SONO LE DIMENSIONI SULLE
QUALI OPERARE
Innanzitutto, la Diversity che non si esaurisce
nella semplice impostazione di politiche finalizzate a coinvolgere maggiormente le donne ma che
implichi un'attenzione a istanze diverse quali le
convinzioni religiose, l'orientamento sessuale, le
differenze etniche nonché quelle generazionali (si
pensi alla compresenza in certe realtà di ben cinque classi generazionali, ognuna delle quali portatrice
di esigenze ed istanze particolari!). Una leadership inclusiva non si improvvisa ma si costruisce
ponendo al centro la persona e sviluppando una
cultura del rispetto che permetta ad ognuno di
sentirsi accettato e coinvolto per i contributi che
può offrire. Sarebbe riduttivo pensare di poter
realizzare questa leadership inclusiva limitandosi
alle azioni di welfare, di wellbeing, perché sono
strumentali ad una cultura di empowerment che
richiede una declinazione quotidiana e coerente anche con l'adozione di uno stile di relazione
adeguato.
La seconda dimensione riguarda l'Equità che non
può ridursi al rivedere il sistema di valutazione
delle prestazioni, la gestione del feedback, la politica meritocratica ma implica anche la capacità di
saper creare opportunità di sviluppo e di crescita
attraverso opportuni interventi di up-skilling e
di re-skilling. Interventi questi ultimi che oltre a
testimoniare il tangibile interesse per le persone
diventano anche una leva per ridurre il tasso di
obsolescenza delle stesse ed in ultima analisi la
vulnerabilità della stessa azienda. La trasparenza
di questi interventi garantisce la risposta e l'adesione convinta delle persone e diventa anche una
leva di retention.
La terza dimensione è quella dell'Inclusione che
non si traduce nella semplice accessibilità del senior management (sicuramente più realizzabile ma
non per questo scontata, nelle realtà più piccole)
ma nella sua stessa capacità di sapersi mettere in
gioco e di saper costruire e mantenere relazioni di
confronto costante, di saper adottare un approccio tollerante e rispettoso anche nel linguaggio,
elemento spesso trascurato. Questo percorso virtuoso verso la D.E. & I. deve essere monitorato
con adeguate metriche che non devono limitarsi a
rilevare percentuali (count body) ma a misurare gli
effettivi progressi di un piano articolato di azioni.
Recenti ricerche hanno confermato che le aziende
che hanno saputo investire in queste dimensioni,
creando contesti inclusivi, non solo hanno mostrato
kpi decisamente più positivi rispetto ai competitors ma hanno realizzato importanti risultati
economici anche durante la pandemia.
Last but not least non bisogna dimenticare il quadro normativo. Si stanno sviluppando sia a livello
europeo che a livello nazionale crescenti iniziative
per orientare e sensibilizzare le aziende anche
attraverso particolari incentivazioni. Si pensi, per
esempio, come a dicembre dell'anno in corso è
entrata in vigore in Italia il Sistema di certificazione della parità di genere. Senza dimenticare per
esempio come il possesso di requisiti ESG influisca
sulla possibilità di attirare gli investimenti di fondi
sempre più attenti a questi aspetti.
La Diversity, l'Equity e l'Inclusion fanno a
pieno titolo parte della componente Social degli
ESG. Decidere di implementare queste dimensioni non è l'adesione ad una moda ma implica
una consapevole scelta gestionale, da utilizzare
non solo come elemento distintivo ma, come
dimostrato dai dati, anche come un fattore di
vantaggio competitivo.