Le aziende familiari hanno una naturale vocazione alla continuità intergenerazionale. Come altre imprese oggi affrontano le difficoltà del momento ma i valori che le identificano possono essere la base per il loro rilancio. A patto di rivedere strategia e governance, laddove necessario.
Il presente contributo nasce dall’affiancamento e dal supporto, assicurato in questi
mesi, ad alcune piccole e medie imprese che ha permesso di razionalizzare e rivedere
alcuni luoghi comuni alimentati da una pubblicistica decisamente negativa. Nata negli
Stati Uniti ad opera di Alfred Chandler, con il suo saggio del 1977 “The managerial revolution
in American Business”, questa pubblicistica ha trovato in Italia, e trova tuttora,
molti epigoni. Lungi dal voler alimentare inutili polemiche è utile prendere le mosse
da alcune considerazioni.
Se l’economia del Paese mostra in questo periodo una resilienza notevole, rispetto
alla magnitudo della crisi, questo è dovuto anche alla capacità che le 11.808 imprese
familiari, con ricavi superiori ai 20 milioni di euro, censite dall’Osservatorio AUB, hanno
mostrato e stanno mostrando di avere. Non solo, nonostante una congiuntura drammatica
come quella che stiamo vivendo, alcune imprese familiari hanno, senza fare
clamore e senza headlines, affrontato processi sia di aggregazione (smentendo la ritrosia
a fare sistema) sia di coraggiose acquisizioni all’estero (smentendo il motto “piccolo è bello”), così come altre si stanno affacciando in Borsa, aprendo le porte agli investitori.
Non si intende con questo ignorare le difficoltà che molte imprese familiari continuano
ad avere in merito alla strategia, la governance, gli assetti proprietari, la successione;
occorre, però, non dimenticare anche il contesto, o se si preferisce l’ecosistema, nel
quale si opera, che non agevola certo “il fare impresa”.
Nonostante tutto continuiamo ad essere ancora (!) il secondo paese dell’Ue dal punto
di vista manifatturiero, dopo la Germania, guarda caso un altro paese con una forte
presenza di aziende familiari ma con un sistema con il quale il confronto, se solo tentato,
porterebbe ad impietose conclusioni a nostro sfavore.
In attesa che il Recovery Plan abbia un impatto salutare sul sistema Italia e promuova
un’accelerazione per recuperare annosi ritardi, è utile riflettere su alcuni aspetti distintivi
delle aziende familiari che abbiamo avuto modo di approfondire.
Riscoprire l'identità
L’azienda familiare, proprio perché tale, ha una naturale vocazione alla continuità intergenerazionale,
con il passaggio di valori da una generazione all’altra. L’identificazione
che l’imprenditore ha con l’azienda può a volte costituire, se esasperata, una difficoltà
ma diventa la forza attraverso la quale consolidare la mission dell’azienda, sviluppare
i valori identificativi, nonché partire da questi per creare valore.
Spesso tali aspetti non sono adeguatamente presi in considerazione ma oltre a sintetizzare
il dna e la storia dell’azienda finiscono per essere la formula attraverso la quale poter
superare contrasti o visioni diverse, soprattutto da parte delle generazioni successive,
coagulare il consenso. Ci è capitato più volte in questo periodo di assistere a processi
di rivalutazione dei detti, magari espressi in dialetto, del fondatore, ripresi in questi
momenti difficili dalle generazioni successive per trovare o ritrovare la motivazione
per andare avanti. Non solo ma la congiuntura ha costretto ad affrontare il tema della
strategia, delle scelte da operare per continuare ad esistere.
Decidere non è uguale per tutte le aziende
Più volte abbiamo partecipato a sessioni nelle quali si è posto pesantemente l’interrogativo
di dove investire. Sono interrogativi che in un’azienda familiare sono vissuti con
la consapevolezza che le decisioni hanno un impatto sulla possibilità di continuare ad
esistere nel tempo e a trasferire valore alle generazioni successive, acquisendo quindi
una rilevanza sociale. L’analisi del business lifecycle è generalmente più sofferta perché
non sempre è semplice disinvestire e migrare verso nuove, più remunerative attività,
lasciandosi alle spalle quelle che hanno raggiunto la maturità e si avviano al declino. In
questi casi si è rivelato spesso utile richiamare il concetto della creazione del valore che ha
permesso di superare conflitti, coagulare consensi e formalizzare piani di lungo termine.
Non solo ma questo processo di definizione della strategia ha permesso di fare chiarezza sul piano organizzativo e di incominciare
ad interrogarsi in merito alla governance.
Abbiamo notato come spesso il tema sia
stato sollevato o proposto con una terminologia
tecnico-giuridica, alcune volte
da improvvisati esperti, e con modelli che
rischiano spesso di alimentare diffidenze
e contrapposizioni.
Siamo i primi ad essere convinti della necessità
e dell’efficacia di strumenti quali il
consiglio di famiglia, il ruolo del chairman,
il family plan, gli accordi di famiglia, ma
prima di arrivare ad utilizzare queste formule
è importante aiutare i componenti
della famiglia a identificare gli elementi
caratteristici e peculiari del loro ‘essere impresa’.
Un percorso nel quale confrontarsi,
partendo dalla mission, per concordare sul
livello di impegno e di engagement, sulla
fiducia e la trasparenza, sullo spazio e il
riconoscimento da dare al merito, sulla
opportunità di innovare e di crescere. Una
sorta di assessment per creare un entrepreneurial
contract creato, riconosciuto e
fatto proprio da tutti i componenti. Dopo
questo percorso è più facile affrontare
il tema delle formule della governance,
definire patti adeguati, maturare scelte in
merito all’organizzazione.
Proprio sull’organizzazione intendiamo
soffermarci perché se nelle aziende familiari
più grandi certe scelte sono imposte
dalle dimensioni del fatturato, dei mercati,
nelle aziende più piccole questo rappresenta
ancora un problema. Non solo per
la disponibilità di figure manageriali, ma
anche per la gestione del cambiamento
imposto dall’innesto di profili esterni, per
una corretta definizione dei ruoli. Ancora
una volta, però, è la capacità di creare
valore che deve diventare il principio guida,
superando la ricorrente tentazione
di premiare la fedeltà, riconoscendo la
necessità di attirare e trattenere risorse capaci
di saper condividere con la proprietà
la mission di saper far crescere l’azienda
nel tempo.
A proposito della dimensione temporale,
senza voler ricordare che almeno sei
aziende italiane vantano una longevità
plurisecolare, sarebbe sufficiente ricordare
quante aziende, spesso menzionate come
best practice, siano riuscite a rimanere
nella lista dei 400 di Forbes negli ultimi
trenta anni, mentre magari molte piccole
e medie imprese italiane continuano,
nonostante le contraddizioni, ad operare
dimostrando come la sindrome dei Buddenbrook
(con la quale si sintetizza il ricorrente
pregiudizio secondo cui “la prima
generazione crea, la seconda mantiene,
la terza distrugge”) possa essere smentita
dai risultati conseguiti.