Azzardato, certo, fare previsioni oggi sulle conseguenze della pandemia su
imprese, business e organizzazione del lavoro. Ma alcuni segnali ed elementi
iniziano a delinearsi, su questi possiamo e dobbiamo iniziare a riflettere
Saranno necessari anni per comprendere l’impatto e decodificare
le conseguenze che la pandemia avrà
avuto sulle imprese, sui modelli di
business, sull’organizzazione del lavoro. Mancano termini di paragone
ravvicinati nel tempo, senza dimenticare come
spesso questi tentativi si rivelino, dopo adeguati
approfondimenti, piuttosto azzardati. Valga come
esempio l’ostinato accostamento avanzato da alcuni, sebbene non confortato da elementi oggettivi,
fra la crisi del 2008 e quella degli anni Trenta del
secolo scorso. Anche se non siamo ancora usciti
dall’emergenza sanitaria (ed economica!), si cominciano però a delineare alcuni elementi che meritano una riflessione. Ben lungi dal voler azzardare
scenari, desideriamo solo richiamare l’attenzione
su alcuni aspetti gestionali che notiamo e sui quali
abbiamo iniziato a confrontarci con le aziende
clienti. Durante il periodo pandemico la funzione HR ha costituito un punto di riferimento non solo per far fronte ai molteplici, inusitati,
aspetti organizzativi ma anche per garantire un
ancoraggio ai valori aziendali, sostenere il morale
e sviluppare la resilienza, tentare di mantenere il
social capital messo a rischio dalla dematerializzazione delle relazioni e dal massiccio ricorso al
WFH (work from home), acronimo sicuramente
più appropriato dello smart working, visto che,
nella maggioranza dei casi, nessuno ha avuto in
questo anno la libertà di scegliere quando, dove e
come lavorare, elementi essenziali appunto dello
smart working, ma ha subito una soluzione imposta dagli eventi.
Adesso che si incomincia ad intravvedere l’uscita
dal tunnel, oltre alla rivisitazione delle normali
aree di presidio, la prima sfida per la funzione HR sarà quella di ricostituire il social
capital che, secondo i dati che emergono dalla
recentissima edizione del Work Trend Index
promosso da Microsoft, con il coinvolgimento
di 30.000 persone in 31 paesi, risulta essere
stato seriamente compromesso. Isolamento,
sylos syndrome, diminuzione della produttività
e dell’innovazione, crescenti difficoltà da parte
delle generazioni più giovani (i nativi digitali),
con minore anzianità aziendale, a mantenere un
adeguato livello di engagement: questi risultati
confermano come non sia sufficiente predisporre
l’infrastruttura per il WFH ma sia necessario
elaborare una strategia complessiva. Di questi
problemi chi si occupa di HR deve farsi carico e
deve farsi portavoce visto che in molte aziende
si sta affrontando proprio in questo periodo un
processo di ripensamento del business model.
Non si tratta solo di studiare come rivitalizzare
e dare vigore a team e ad organizzazioni esauste
ma di partecipare attivamente al processo di
revisione in corso. Ai ricorrenti interrogativi
quali Who are we? How do we operate? How
do we grow ci permettiamo di aggiungere With
whom do we operate? Vista l’endemica scarsità
di risorse e di talenti, conseguenza non solo del
calo demografico ma, ammettiamolo, anche di
politiche gestionali improntate allo shorterm
(al primo stormir di fronde la voce che saltava
nelle revisioni di budget aziendali pre-covid era quella relativa la formazione!) si impone la
necessità di poter disporre di risorse preparate
ad affrontare il contesto post-covid. Secondo
Saadia Zahidi, Managing Director del World
Economic Forum, nei prossimi dieci anni ci sarà
bisogno di un drastico reskilling e upskilling
delle persone visto che almeno un terzo dei
job sarà modificato dalla tecnologia. Già perché
nonostante il Covid la tecnologia ha continuato a
svilupparsi e ad avanzare, fornendo applicazioni
nuove e soluzioni sempre più sofisticate. Più
che un rassicurante ed autoreferenziale slogan,
diventare una lifelong learning organization
diventa oggi una priorità da realizzare. Non a
caso nella recentissima edizione del 2021 Global
sentiment survey and development, il reskilling e l’upskilling sono stati considerati come
la priorità per le aziende in quella che viene
delineata come la fase del next normal.
Non solo ma, oltre a preparare le risorse per
affrontare l’accelerazione della digitization e
della globotica un’altra sfida impegnativa per i
responsabili HR sarà quella delle 3 R: Reinvent,
Reimagine, Rethink. I modelli organizzativi
sinora adottati si stanno rivelando inadatti
perché più che l’uniformità, il controllo, l’architettura dei flussi, le aziende hanno bisogno
di minore burocrazia, di regole più semplici,
di strutture più agili, di creatività, di velocità
nell’esecuzione della strategia e di inclusione.
Questo implica non solo rivedere la struttura,
ridurre i livelli, rendere veloce, con un adeguato livello di delega, il processo decisionale ma
anche, e soprattutto, costruire una cultura di
riferimento che supporti e sia generativa di
nuovi stili di leadership. Rispetto al passato
gestire un cambiamento di queste dimensioni
potrebbe essere più semplice perché la business disruption che ci ha investito è stata di una
tale magnitudo da ridurre i meccanismi di difesa inerziale (traducibile nel motto: “abbiamo
sempre fatto così”) e ci ha reso più disponibili
a reagire e a sperimentare.
Ma per gestire con successo l’alignement dell’organizzazione sarà importante comunicare,
coinvolgere, proprio per ridurre il gap fra
strategy e execution. Potrà sembrare una contraddizione in termini ma dobbiamo cambiare
il modo con cui cambiamo, interrogandoci quotidianamente se stiamo cambiando alla stessa
velocità con la quale cambia il mondo nel quale
operiamo e coinvolgendo il resto dell’azienda
in questa riflessione.
Last but not least si rende necessario aggiornare e rivedere il competency framework
per sviluppare competenze e comportamenti
per attirare, trattenere e sviluppare i talenti
che concorrano a costituire il vantaggio competitivo dell’azienda. Riesce difficile riconoscere
una conseguenza positiva della pandemia che
ci ha afflitto in questo anno se solo si tengono
presenti gli altissimi costi umani ed economici,
ma indubbiamente, dagli elementi e dalle esperienze che stiamo verificando nelle aziende, ci
sembra di poter dire che si stia riconoscendo
l’importanza di un mindset human centric. In
questo contesto, quanti hanno la responsabilità dell’HR hanno l’occasione di essere percepiti come internal service provider in quanto
chiamati ad assicurare il ROI dell’investimento
sull’human capital e a garantire un impegno
tangibile e duraturo. Lavorare duro per qualcosa
in cui non crediamo genera solo stress, lavorare
duro invece per qualcosa in cui crediamo genera
passione.